Le fonti negli studi di famiglia
In questo post vorrei
trattare un’importante questione metodologica. Cercherò di spiegare quali
possono essere le fonti da utilizzare per uno studio sulla famiglia, in questo
caso aristocratica, attraverso un excursus su diversi lavori (libri, articoli,
saggi) che ho utilizzato durante i miei studi, ma anche e soprattutto ricordare
quanto sia importante in questo tipo di analisi non perdere mai di vista la
società nel suo complesso.
Molteplici
possono essere le tipologie di fonti per uno studio di famiglia, in particolare
la scelta è determinata in base al tipo di analisi che si intende effettuare,
che indaghi i patrimoni e gli atteggiamenti economici, o il campo sociale e
delle mentalità, o che voglia fornire un quadro a tutto tondo su una
determinata famiglia.
In questa sede cercherò
di evidenziare quali possano essere le principali fonti per questo genere di
ricostruzioni e analizzarne l’utilizzo attraverso un confronto di alcuni
lavori.
Gli
studi sui patrimoni «consentono di conoscere meglio le principali fonti di
reddito e soprattutto gettano nuova luce sui concreti meccanismi attraverso i
quali si operava, nelle campagne, il prelevamento della rendita fondiaria»[1],come
spiega Angelo Massafra nel suo studio sui Revertera di Salandra e sui
Pignatelli di Strongoli, palesandoci la sua scelta metodologica.
Si
tratta quindi di analisi essenzialmente economiche, che si avvalgono di fonti
fiscali, carte processuali e fonti amministrative, contabili e giudiziarie. In
particolare in questo caso, come l’autore stesso si preoccupa di informarci,
preliminarmente al suo saggio, sono stati utilizzati «rendiconti inviati
periodicamente da agenti ed erari dei feudi all’amministrazione centrale dei
Revertera e dei Pignatelli in Napoli. Quando è stato possibile – continua lo
studioso - si è tenuto conto anche di rendiconti, anche parziali o lacunosi,
che ci consentissero di conoscere l’ammontare della parte più importante delle
entrate e delle spese»[2].
I
problemi che possono sorgere in questo genere di studi, come avverte Massafra
possono essere dovuti «a lacune nella documentazione o a genericità delle indicazioni in essa
contenute, per non dire delle reticenze, degli artifici contabili, degli
errori, più o meno volontari, contenuti nei rendiconti e bilanci»[3],
ma anche dalla «scarsa omogeneità dei criteri con cui rendiconti e bilanci
venivano compilati da amministratori diversi in epoche spesso tra loro molto
lontane e le notevoli differenze nella natura e nelle finalità dei singoli
documenti contabili».[4]
Altri
studi ci restituiscono un’ immagine più complessa, analizzando i patrimoni non
solo nella composizione economica ma anche alla luce delle particolari vicende
familiari, che pure contribuiscono ad influenzare la gestione del patrimonio.
Infatti notava Mario Mirri che «le
vicende di un patrimonio dipendono senza dubbio dalle scelte e dalle capacità
di organizzazione e di direzione di una successione di capi-famiglia, individui
singoli, ciascuno con il proprio temperamento e la propria mentalità, i propri
gusti, i propri orientamenti e la propria cultura. Eppure, un patrimonio ha una
sua consistenza particolare, forma di concentrazione di una storia
superindividuale e di una tradizione familiare che impongono anche proprie
leggi e linee di tendenza agli individui via via capi-famiglia; mentre da un
altro lato sulla struttura e sull’evoluzione dei patrimoni si riflettono i
grandi movimenti economici, le tensioni, le fasi di espansione e le
contraddizioni presenti nell’aggregato economico globale di cui essi sono parte
integrante»[5]. Proprio questa
«esigenza di collegamento tra la problematica strettamente economica su
patrimoni e aziende di grandi famiglie e i problemi […] della trasformazione
dei sistemi successori, delle strategie matrimoniali, dei movimenti
ascensionali e discensionali all’interno della piramide nobiliare»[6]
è stata avvertita da Maria Antonietta Visceglia che ne ha fatto l’impostazione
metodologica presente al centro del suo lavoro sui Muscettola di Leporano,
condotto principalmente sull’analisi dell’archivio di famiglia, ma
sostanzialmente con lo stesso tipo di fonti.
Una
ricostruzione completa sulla famiglia in tutti i suoi aspetti è fornita dallo
studio di Flavia Luise sui d’Avalos, dove non solo vengono ricostruiti gli
orientamenti e le strategie economiche, ma si cerca anche di fare luce sulla
cultura e sulle modalità di autorappresentazione del ceto nobiliare e delle sue
trasformazioni, attraverso l’analisi di inventari della biblioteca, delle armi,
della quadreria.
La
biblioteca infatti riflette il contesto culturale, ma anche l’immagine che il
nobile vuole veicolare di sé. Così, ad esempio, la studiosa può rilevare che «l’immagine
esemplare del gentiluomo, uomo di corte esperto di ogni disciplina, in
magistrale equilibrio tra l’azione morale e la coscienza politica, etica
cristiana e ragioni del principe, percorre la biblioteca [di Cesare
Michelangelo d’Avalos nel 600], insieme al tema della ragion di Stato e ai
testi fondamentali della riflessione e del dibattito sui fondamenti della
monarchia e sulla sovranità fra Cinque e Seicento, con le opere fondamentali di
Machiavelli e di Jean Bodin, l’idea del principe cristiano-politico di Didaco
Saavedra Fajardo, il cortigiano di Alonso Nuñez de Castro e l’uomo di corte di
Baltasar Gracian, l’Istruzione cristiana
per i Principi e Regnanti di Carlo Maria Carafa»[7].
Nel Settecento la collezione di Tommaso d’Avalos pur trasmettendo l’immagine di
«aristocratico fedele alle sue origini e arroccato in difesa delle prerogative
tradizionali del suo ceto contro qualunque spinta eversiva, illuministica o
rivoluzionaria che fosse», mostra il cambiamento delle percezione di onore e
cultura, che non sono più «solo segni di onore e di potere, ma strumenti al
servizio del sovrano e insieme di trasformazione del proprio ruolo»[8].
Avvertimenti
nell’utilizzo di questo genere di fonti ci offre la studiosa quando osserva che
in alcuni casi «il carattere confuso e lacunoso della trascrizione non sia
stata casuale, ma volontaria, per rendere più sbiadita l’immagine degli Avalos»[9],
o ancora quando, notando la presenza di testi illuministici, invita a non
cadere nell’errore di «desumere dalla sola presenza di libri di questo o quel
segno le propensioni politiche del possessore o del lettore»[10].
Preziosa
la corrispondenza di Eleonora Doria Pamphilj, permette di cogliere il peso
delle grandi trasformazioni in atto nel decennio francese, la preoccupazione di
«mettere a riparo il patrimonio e garantire la sicurezza economica dei figli»[11],
ma anche la maturazione del personaggio alla luce delle nuove responsabilità
che incombono su di lei.
In
questo caso «la fonte epistolare […] si è rivelata essenziale per dare voce
alla memoria dei d’Avalos [...] e studiare quel terreno di relazioni private,
che le carte ufficiali hanno lasciato in ombra»[12].
Una
simile impostazione è seguita anche nello studio di Rosa Maria Salvia sui
Firrao. Interessante è in questo caso l’uso dell’inventario dei beni che testimonia
una forte importanza attribuita al lusso e al possesso di oggetti preziosi,
segno del rango nobiliare. Grande attenzione è data anche alle «relazioni
sociali e politiche, considerate inderogabili»[13],
come dimostrato sia dalla presenza di numerosi ambienti «destinati ai
ricevimenti ed alle visite»[14],
sia dalle alte spese per l’ospitalità
nei
bilanci della famiglia.
Gli atti notarili
prodotti da contese all’interno della famiglia ci permettono di cogliere le
trasformazioni in atto nei rapporti e nelle consuetudini familiari dovute
all’introduzione del codice civile nel 1809.
Ancora lungo potrebbe
essere l’elenco dei lavori e delle fonti su questa tematica, e difficile da
esaurire in un breve spazio. Quello che mi premeva, in conclusione,
sottolineare è che uno studio di famiglia non può mai essere fine a se stesso, ovvero
non può non tenere conto del contesto politico e sociale. Per dirla con le
parole di Marino Berengo, riprendendo il suo giudizio sull’Andrea Memmo di
Gianfranco Torcellan, «se non si tiene l’occhio fisso alla folla dei problemi
politici economici e sociali, che condizionavano l’opera del patriziato
veneziano e non si fa, sia pure di scorcio la storia di questi, si rischia di
rimanere sul piano del bozzetto, della galleria di ritratti[…] La storia
sociale si affaccia con prepotenza dietro ogni biografia di questi uomini e, se
non vi è adeguatamente accolta, rischia di far sentire il peso della sua
esclusione»[15].
[1] A. Massafra, Giurisdizione feudale e rendita fondiaria nel settecento napoletano: un
contributo alla ricerca, in «Quaderni storici», VII, 1972, p. 194.
[2] Ivi, p. 196.
[3] Ibidem
[4] Ibidem
[5] M. Mirri, Premessa a Ricerche di Storia
Moderna, II, Pacini ed., Pisa, 1979, pp. VII-VIII, cit. in M. A.
Visceglia, Formazione e dissoluzione di un patrimonio aristocratico: la famiglia
Muscettola fra XVI e XIX secolo, in «Mélanges de l’ École française de Rome
Moyen Age-Temps Modernes», 92, 1980, p. 555.
[6] M. A. Visceglia, Formazione
e dissoluzione di un patrimonio aristocratico: la famiglia Muscettola fra XVI e
XIX secolo, in «Mélanges de l’ École française de Rome Moyen Age-Temps
Modernes», 92, 1980, p. 557.
[7] F. Luise, I d'Avalos.
Una grande famiglia aristocratica napoletana nel Settecento, Napoli, Liguori, 2006, p. 197.
[8] Ivi, p. 202.
[9] Ivi, p. 201.
[10] Ivi, p. 202.
[11] Ivi, p. 316.
[12] Ivi, pp. 295, 296.
[13] R. M. Salvia, Una famiglia d’élite a Matera (1799-1829), in N. Lisanti, T. Russo,
R. M. Salvia, Il Feudo, la coccarda e
l’intendenza. La Basilicata dal 1789 al 1821, Milano, Franco Angeli, 2000,
p. 71.
[14] Ivi, p. 70.
[15]
Recensione in «Rivista storica italiana», 1964, I, p. 210, cit. in P. Villani, Dalle riforme all'era napoleonica.
(1748-1815). Gli studi italiani nell'ultimo ventennio, in Feudalità, riforme, capitalismo agrario,
Bari, Laterza, 1968, p. 34.
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