Storia di una ex neoborbonica

Recentemente due articoli del prof. Francesco Barbagallo (Barbagallo: neo-sudismo scadente ideologia e Portici borbonica, un falso a 5 stelle), pubblicati sul sito di Repubblica, hanno richiamato l’attenzione sul tema della storiografia neoborbonica, soprattutto evidenziando i limiti e gli errori di quella interpretazione.
Questi contributi fanno pensare che qualcosa si stia finalmente muovendo all’interno del mondo accademico per porre freno all’ondata di disinformazione.Il tema in questione mi sta particolarmente a cuore poiché, io per prima, ho sofferto della mancanza di una divulgazione scientifica seria, fatto che, appunto, mi ha portato per molto tempo a militare nelle file dei neoborbonici.




  • Come sono diventata neoborbonica

Fin da piccola sono stata fortemente appassionata di storia e i manuali di scuola non riuscivano a colmare la mia sete di conoscenza, anzi, per essere più precisi odiavo i manuali e, paradossalmente, in storia non eccellevo. Questo perché trovavo che la storia di scuola, la storia ufficiale, fosse profondamente noiosa, una sterile cronologia, per cui preferivo documentarmi altrove: su internet o sui libri che potevano tranquillamente trovarsi in libreria a prezzi accessibili.
Avevo all’incirca quindici o sedici anni quando mi avvicinai al mondo neoborbonico. Devo premettere che allora, circa quindici anni fa, non c’era una tale diffusione di queste teorie e l’immagine predominante del Regno di Napoli era di un paese decadente e culturalmente arretrato, dominato da una dinastia debosciata, violenta e bigotta. Girovagando su siti vari invece scoprii una realtà totalmente diversa: il regno di Napoli con i Borbone era stato un luogo prospero e felice, improvvisamente invaso dallo straniero che lo aveva depredato di tutte le sue ricchezze e asservito la sua pacifica popolazione, condannando all’esilio e all’oblio l’illuminata dinastia che fino a quel momento aveva regnato. Era quindi stata riscritta ad arte una storia ufficiale che nascondesse e giustificasse tali atrocità: la storia insegnata a scuola non era che una menzogna, una truffa per tenere tutti buoni. Inoltre all’invasione e alla successiva Unità italiana venivano ascritti e imputati tutti i mali che avrebbero successivamente caratterizzato (e ahimè caratterizzano ancora) il Sud.
Immaginate tutto ciò che effetto potesse avere su una ragazza che per tanto tempo aveva disprezzato il proprio paese ritenendolo incapace di generare qualcosa di buono e che ora scopriva un passato tanto glorioso. Sposai immediatamente questa causa e iniziai a documentarmi utilizzando materiale non ufficiale, che era per sua natura menzognero. Libri o articoli di propaganda neoborbonica si trovavano ovunque con facilità, ma non ho mai trovato nulla scritto da qualche studioso serio.

  • Perché non sono più neoborbonica

Animata dallo scopo di riscrivere la storia e fare finalmente giustizia mi iscrissi all’università decidendo appunto di studiare Storia. Durante il corso degli studi ho imparato molte cose importanti per uno studioso di mestiere, come sviluppare un senso critico, distinguere le bufale dagli studi seri, attendibili.
È stato un professore in particolare ad insegnarmi tutto questo. Insisteva fortemente sulle fonti: sono proprio queste che ci permettono di verificare le tesi sostenute dallo studioso, e quindi stabilirne l’autenticità e serietà, senza di esse non si può parlare di storia. Ma anche la necessità di analizzare il maggior numero possibile di dati, per cercare di avere un quadro più preciso possibile, l’utilizzo critico e la contestualizzazione della fonte, quell’operazione per cui bisogna chiedersi chi e perché ha prodotto un documento e per quali scopi, in modo da non travisare le informazioni che vi sono contenute e da non essere fuorviati da una determinata visione.
Tutte queste caratteristiche invece mancavano agli studi su cui mi ero formata. Inoltre ho avuto modo di leggere studi che fornivano una versione molto più articolata della questione meridionale.
In un primo momento sono uscita distrutta dallo scontro con un nuovo approccio e una nuova versione dei fatti, ma con il tempo questa esperienza mi ha reso una persona e una studiosa più consapevole.

  • Cosa rende tanto popolare l’ideologia neoborbonica

I punti forti di questa ideologia sono prima di tutto il proporre l’immagine di un grande passato, ricco e prospero ad una parte di paese che per molto tempo ha sofferto per uno sviluppo poco equilibrato. Detto in parole più semplici si contrappone l’idea: “qui ora non funziona nulla e tutto è nel caos, prima tutto era perfetto”. Tutti i problemi vengono risolti tramite un capro espiatorio, il nemico straniero, concetto facile e di facile comprensione, mentre meccanismi economici e geopolitici risultano complessi e quindi ostici ai più.
Altro punto forte è quello di rappresentare la dinastia vicina al popolo. I sovrani borbonici non sono mai chiusi nei loro palazzi e lontani da tutto, al contrario sono sempre vicini alla gente comune, alla gente più umile, ne parlano anche la stessa lingua, gioviali e simpatici, sono sempre dipinti come buoni padri di famiglia e con la stessa giustizia e bontà che usano nella famiglia amministrano il Paese, in tal modo tutti possono identificarsi e simpatizzare con loro.
Parole e concetti semplici e assimilabili facilmente da tutti rendono vincente l’ideologia neoborbonica, inoltre gli scritti di propaganda sono facilmente reperibili ovunque e hanno spesso un costo irrisorio e titoli e copertine accattivanti.

  • Le colpe del mondo accademico

Il mondo accademico ha per troppo tempo ignorato il problema, lo stesso Barbagallo, in uno degli articoli in questione, afferma che «finora gli storici di professione, dall’alto delle cattedre universitarie, non hanno ritenuto per lo più di replicare alle falsità diffuse da propagandisti neoborbonici e neosudisti. E, - continua lo studioso - a mio parere, hanno fatto bene perché chi ha passato la vita a studiare e a documentare la travagliata storia dell’Italia e del Mezzogiorno non può mettersi a discutere con propalatori di false notizie». Queste dichiarazioni sono sicuramente giuste e condivisibili da qualsiasi storico di mestiere, infatti è profondamente ingiusto che chiunque, senza alcuna formazione possa scrivere e considerarsi un esperto della materia. Purtroppo però, tale atteggiamento di rifiuto ha avuto effetti contrari e soprattutto dannosi, si è così permesso il proliferare liberamente di ideologie distorte, che hanno saputo abilmente sfruttare il vuoto lasciato dalla storiografia ufficiale. Anzi il silenzio del mondo accademico è apparso come una chiusura elitaria che avallava ancor di più le tesi neoborboniche: lo scherno era la risposta di chi non poteva controbattere alla verità che riaffiorava dopo anni di falsità ingiustamente propugnate.
Solo in occasione delle celebrazioni dei centocinquanta anni dell’unità d’Italia sono giunti dei primi segnali di un’inversione di tendenza i cui risultati sono rappresentati da volumi come Borbonia felix di Renata De Lorenzo e Unità a Mezzogiorno di Paolo Macry. Benché non mancasse in generale materiale sull’argomento, era fino a quel momento completamente assente una divulgazione di buon livello, ma accessibile e che potesse quindi validamente controbattere le false tesi.
Nell’università, ancora oggi, la divulgazione storica è vista come un genere minore a cui nessuno vorrebbe abbassarsi, eppure senza di essa facilmente si generano mostri che sarebbe più semplice sconfiggere sul nascere.
  • In conclusione
La mia opinione in merito, per concludere, è che i punti da cui muovono i neoborbonici sono in parte esatti: non è giusto e neppure storicamente corretto fare la leggenda nera dei Borbone, detto ciò però si deve specificare che è altrettanto ingiusto farne la leggenda dorata: meriti ed errori devono essere sempre equamente valutati e non si può ascrivere sempre tutto ad un complotto ordito dai nemici del Paese.
Il dilagare di tante inesattezze, sia in un verso che nell’altro, è stato determinato dalla mancanza di lavori divulgativi di buon livello, ma facilmente reperibili, che ha reso orfana una generazione almeno di persone interessate a temi storici, ma non sempre dotate di validi strumenti per orientarsi nel mare di lavori disponibili sull’argomento valutandone correttamente la serietà.
Oggi più che mai, invece, risulta fondamentale una riflessione sana sul tema dell’Unità italiana che rifugga dalla retorica e sappia creare le basi migliori per un sentimento di cittadinanza positivo.



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