Un’antica struttura alla prova dei tempi nuovi: la famiglia aristocratica e il Codice civile

Come reagisce la famiglia aristocratica alle innovazioni determinatesi nell’età napoleonica? Questa la domanda cui ho tentato di dare risposta un contributo del tutto originale, basato su fonti inedite. Attraverso l’analisi delle specifiche vicende della famiglia Caracciolo di Melissano cercherò di mettere in luce come vengano fronteggiate le novità legislative, quali, in particolare, il Codice civile, che andavano a scardinare l’antica rigida struttura familiare di antico regime.


  • Un’eredità equilibrata. Le scelte testamentarie del Principe Giovan Battista
Nel 1678 il marchese di Grottole Cecco Caracciolo il Vecchio, nel suo testamento «stabilì un perpetuo agnatizio maggiorato, al quale invitò li figli, e discendenti dell'erede istituito da primogenito in primogenito, ed in mancanza di discendenti maschi, chiamò Nicola Caracciolo suo figlio Secondogenito, e altri che avrebbero tenuto luogo di Primogenito, e loro discendenti, secondo il medesimo ordine di primogenitura»1.
L’uso della primogenitura e del fedecommesso, come sottolineato dagli studi di Maria Antonietta Visceglia e Gérard Delille, si afferma soltanto a partire dal XVI secolo: mentre in un primo momento la nobiltà aveva adottato una politica familiare basata sulla creazione di molteplici rami di lignaggio, successivamente, una volta stabilizzata e chiusa la fase espansiva, essa tende a chiudersi e consolidarsi con l’uso della primogenitura e con l’introduzione del vincolo fedecommissario, allo scopo di conservare l’integrità dei patrimoni feudali in un momento di crisi della rendita e di ripiegamento della nobiltà su se stessa2.
Nel caso in esame la creazione di un fedecommesso e maggiorascato doveva avere lo scopo di consolidare il nuovo lignaggio che si era formato con l’acquisizione dei feudi di Grottole, e poi di Amorosi3. Il testante, seguendo uno schema classico, esordisce nominando suo erede universale il figlio primogenito, obbligandolo a rispettare l’«infrascritto Majorato, e legato, quali voglio che siano inviolabilmente adempiti ed osservati, giusta la loro forma».
Stabilisce poi che possano e debbano succedere sempre e soltanto figli maschi primogeniti e che siano «escluse sempre le femmine, e loro discendenti, anco di Linea, e grado più prossimo». In questo modo si sancisce l’esclusione delle donne dalla successione. Siamo, infatti, in un momento in cui questa scelta si è ormai consolidata, e la possibilità di successione femminile viene considerata come una scelta da penalizzare. L’unica possibilità di successione per le donne è prevista nel caso che «mancando in qualunque fussero tempo li detti mascoli discendenti da mascolo, in detta mia eredità, e beni succedano, e debbano succedere le femine, con l’ordine di primogentura predetta, e condizione se si trovassero maritate, o si maritassero con Cavaliere della mia Famiglia, con il medesimo vincolo di Majorato Agnatizio»4.
Viene anche ribadita fermamente l’importanza e la continuità del nome e della Casa che specie nel caso dei Caracciolo aveva particolare importanza5.
Non vengono trascurati gli altri membri: le figlie, secondo la consuetudine, vengono dotate, mentre uno spazio maggiore si dà al cadetto, che non viene completamente privato dei privilegi del proprio ceto, ma può goderne solo a patto di ricoprire il ruolo che per lui è stato scelto. Si specifica nel documento che nel caso in cui contravvenga alle disposizioni paterne, debba considerarsi escluso da tutte le disposizioni date, e non possa «succedere nel detto majorato, né godere ogn’altro beneficio, che li potesse pervenire in virtù della presente mia disposizione»6. Ogni possibilità di scelta è così sottoposta a un provvedimento punitivo che esclude chi voglia sottrarsi alle logiche della famiglia.
Si può notare che il documento riprende tutti i temi tipici del fedecommesso, collocandosi perfettamente in linea con le tendenze generali del periodo. Esso provvede a disegnare e stabilire, con l’«inviolabilità, e perpetua fermezza» che gli sono caratteristiche, la struttura che la famiglia deve assumere e mantenere cristallizzandola7. Studi di tipo sociologico hanno evidenziato che l’adozione del fedecommesso e della primogenitura andarono a modificare la struttura della famiglia determinando l’affermazione di famiglie di tipo multiplo verticale. Esse apparivano così articolate: «l’unico che di solito si sposava, il primogenito, portava la moglie in casa dei genitori», ad essi si aggiungevano poi i fratelli e sorelle costretti al celibato da quel tipo di politica.8
È stato affermato che la famiglia aristocratica si strutturava secondo il modello patriarcale e patrilineare, e prevedeva la completa subordinazione dei suoi membri al capo della casa, era caratterizzata da una ineguale distribuzione di diritti e risorse, che però non era percepita come ingiustizia dai suoi membri tra cui «si instaurava un proficuo spirito di collaborazione»9. Tali affermazioni sono ben leggibili anche nel presente testamento, eppure lo schema delineato non si può sempre considerare e applicare rigidamente, perché, nonostante tutto ciò, restavano spazi di manovra anche per gli altri membri della famiglia10, nella Casa di Melissano, ad esempio, spesso i cadetti percorrono brillanti carriere, alcuni di essi inoltre si troveranno ad assumere il ruolo di capo della casa, ribaltando quindi la loro sorte.
Le scelte testamentarie del principe Giovan Battista si muovono nel rigoroso rispetto della tradizione prevedendo la continuazione del fedecommesso, anzi, quasi si acuisce quel desiderio di conservazione perpetua dei beni, che aveva portato tra XVII e XVIII secolo a irrigidire i vincoli nei fedecommessi11.
Le disposizioni appaiono molto articolate e precise, e in esse si può scorgere una sorta di equilibrio. Mentre Nicola è istituito erede universale, le due figlie, Margherita e Giustiniana, sono nominate eredi particolari «nella somma di ducati 30mila ciascuna di esse, incluse però ne detti ducati 30mila le quantità, ch’effettivamente saranno per ricevere dalli Monti, ne quali esse sono comprese, […] e ciò per ogni parte, porzione, legittima, dote di paraggio, supplemento, e per ogni altro, che potesse pretendere sulli beni paterni, beni e doti materne».
Anche in questo caso è dedicato ampio spazio al secondogenito, Francesco, al quale viene assegnata una somma vitalizia ed il godimento di patronati ecclesiastici, precisando che, nel caso egli riceva una Commenda dall’ordine gerosolimitano pari all’assegnamento lasciatogli, l’erede non debba più erogargli l’assegnamento12.
Attento alla continuità della casa, Giovan Battista stabilisce «che non possa il detto Cavalier D. Francesco far la sua professione in detta Religione Gerosolimitana, se prima non siasi assicurata la successione nella linea del detto Contino di Trivento D. Nicola mio figlio primogenito Erede Universale da me istituito, con prole maschile liberata dal vajolo, o dell’età di anni sette».
Anche gli affetti trovano spazio, il testante non dimentica la sua «dilettissima, ed amatissima Moglie che ringrazio dell’ottima compagnia, ed assistenza fattami costantemente in tutto il corso del nostro Matrimonio». Preoccupandosi del suo mantenimento le assegna la sopravvivenza di 3600 ducati annui, «compreso l'interesse delle sue doti, antefato, vesti lugubri, ed ogni altro, ch’ella potesse pretendere» e «l'uso di un appartamento, dov’ella meglio stimerà»13.
Si scorge in queste scelte un’attenta regia intenta a non trascurare nessun membro della famiglia, ma anche a non gravare eccessivamente sul patrimonio familiare, che tanto spesso proprio gli assegnamenti erodevano. Parimenti notiamo come ad ogni familiare è assegnato un ben preciso ruolo: Nicola è destinato a divenire capo della casa, Francesco cavaliere gerosolimitano, Margherita sposerà il duca di Quadri, e Giustiniana intraprenderà la via monastica presso il monastero di San Gregorio Armeno. La presenza e la diffusione di queste strategie, di questo «gioco di squadra»14 sono state ampiamente sottolineate negli studi di storia della famiglia. Si è osservato come ogni individuo fosse chiamato a svolgere un compito, fin dalla nascita assegnato, e fosse tenuto ad impegnarsi al meglio in questo suo compito al fine di procurare il maggiore lustro al proprio casato, verso il quale aveva una forte responsabilità15.
Il principe, nel morire il 15 gennaio 1801, lasciava la famiglia ordinata in una struttura ben precisa, pensata per sfidare il tempo, e conservare i beni il più a lungo possibile. Eppure le disposizioni tanto minuziose non facevano nessun riferimento ai debiti della Casa, né prevedevano alcuno strumento per estinguerli, Nicola quindi, pressato dai creditori, si vedeva subito costretto a chiedere l’expedit per poter obbligare i beni di famiglia. Situazione che però sembra dovesse essere alquanto comune in buon parte dell’aristocrazia di quel periodo. Come rilevato da Visceglia, già dagli inizi del Settecento si manifesta la tendenza a rifiutare i vincoli fedecommissari e l’esigenza di avere libera disponibilità dei beni ereditati, segni di una crisi della mentalità nobiliare16, di un’insofferenza verso un istituto che, se aveva permesso in un primo tempo la sopravvivenza di questo ceto, ora era diventato «l’anello più pesante di un sistema che annullava ogni potenzialità espansiva»17. Con tali caratteristiche, con tali segni di un cedimento latente, il bell’edificio creato per resistere a tutto avrebbe dovuto affrontare l’urto del codice civile.
· Il Decennio francese: una disarticolazione dei ruoli?
«La famiglia a tipo napoleonico, pur nella sua forte struttura di comando, appare costituita su una trama giuridica nettamente individualistica. Non è più un corpo sociale, come l’antico lignage, né una magistratura sociale come la famiglia nobile della Francia ancien régime: ma una costellazione […] di persone che mediante il divorzio, o con l’emancipazione che segue di pieno diritto alla maggiore età, possono volgere ciascuna verso un proprio destino»18. Così scriveva Ungari tracciando i più peculiari e dirompenti aspetti della nuova famiglia che si delinea nel codice civile. Ma si trattava nel suo caso di una ricostruzione essenzialmente giuridica. Quanto effettivamente essa trovasse corrispondenza nella realtà dei fatti non è facile dire.
Qui si vogliono solo fornire alcuni spunti di riflessione sulla base delle vicende giudiziarie della famiglia, e non una ricostruzione puntuale della nuova forma assunta.
L’avvento del regime francese determina l’esplodere di una questione che da tempo covava nel seno della famiglia Caracciolo: l’indebitamento. Il ceto dei creditori si rinsalda per ottenere soddisfazione e con esso, in qualità di attori privilegiati, compaiono anche i familiari del principe Nicola. La madre, la moglie, il fratello e le sorelle, sono gli uni contro gli altri in un’accesa lotta per ottenere i propri assegnamenti vitalizi.
Sembra così andare definitivamente in frantumi l’equilibrato edificio costruito con grande attenzione attraverso le disposizioni testamentarie avite. L’uguaglianza successoria e l’affermazione individuale sono state pienamente assimilate. Se «il suo [del codice civile] significato politico-sociale è anche quello di uno strumento di lotta per disgregare la struttura del casato nobile e patrizio, e per attuare in via gradualistica, nel succedersi delle generazioni, l’ideale democratico del frazionamento della proprietà»19 sembra qui che l’obiettivo sia stato pienamente raggiunto. Un’analisi più attenta però rivela una diversa e più complessa realtà.
Alcune allegazioni processuali ci illustrano quali fossero i termini della questione.
«Nel 1808 il suddetto Principe di Melissano D. Nicola Caracciolo dedusse li suoi beni in patrimonio, sotto gli Antichi Tribunali. Fu destinato un Ministro Economico in persona del fu Marchese Ottavio Avena, con ample facoltà. Per disposizione di questo Magistrato si procedé alla relazione e discussione de creditori della Casa di Melissano. La Principessa di Melissano D. Anna Francesca Spinelli non mancò di dedurre e far valere i suoi dritti per la dote, e per le convenienze nuziali. Di fatti fu Ella utilmente graduata per l'una e per le altre. In questo stato di cose, essendosi nel 1809 pubblicate le nuove leggi, si dové continuare a procedere a norma delle stesse. Vi fu giudizio innanzi al Tribunale di prima istanza di allora, per acclararsi i dritti della Principessa di Melissano D. Anna Francesca Spinelli su i beni della Casa di Melissano; nel quale giudizio contraddisse le di lei pretese l'intero ceto de creditori»20.
La vicenda, già intricata per il numero di attori implicati e per i cavilli addotti dagli avvocati, si snoda in un momento particolarmente delicato, cioè durante l’approvazione del nuovo codice francese, si determina in questo modo una realtà incerta, che rende più complicata l’azione ai protagonisti. In un primo momento infatti «la principessa senza tener conto degli effetti della pubblicazione delle leggi novelle, avvenuta poco dopo la deduzione del patrimonio di Melissano, credeva potersi giovare dell’antica legislazione, e considerato il fallito come civilmente morto ottenere tutto ciò che il di lei contratto nuziale le accordava perciò non solamente la restituzione della dote ma benanche la sopravvivenza in annui duc. 4000 nella quale andavano compresi i frutti dotali, l’antefato e lo spillatico. Se la Corte di appello non avesse incontrato l’ostacolo degli effetti della pubblicazione delle leggi novelle, ora non si farebbe più quistione, e conceduta la sopravvivenza fin dal 1 novembre 1808, avrebbe elle con un solo tratto di penna ottenuto tutto quello che da trenta anni va pitoccando per quasi tutti i Tribunali del Regno. La Corte di appello però favorendo in ciò i creditori strenuamente difesi da D. Luigi Alfani, trovò che non essendo avvenuta la morte naturale del marito, non poteva concedersi la sopravvivenza, ma soltanto quello che durante il matrimonio si era promesso; vale a dire il solo donativo dei lacci e spille»21.
Sia la principessa, sia i suoi avversari però dimostrano di sapersi abilmente muovere tra i due diversi contesti giuridici.
I «creditori tutti, stretti ed uniti, combattevano mordicus le pretensioni della principessa» e, approfittando del cambiamento legislativo, il loro patrocinatore Luigi Alfani cerca di modificare l’oggetto della causa in modo da poterla escludere e ribaltando la situazione a favore dei propri assistiti. Mentre la strategia portata avanti dalla principessa consiste nel tentativo di collocare la causa nel contesto giuridico dell’antico regime facendo perno sulla non retroattività della legge. Sostiene il suo avvocato che «se si tratta di un contratto che porta la data del 1792 [anno della stipula dei capitoli matrimoniali], il principio della non retroattività delle disposizioni legislative racchiuso nell’art 2 delle leggi civili, non permette al Magistrato di consultare altra legislazione se non quella ch'era in vigore precedentemente al 1809, epoca della pubblicazione delle novelle»22. Nelle sue affermazioni bene si riflette l’ambiguità determinata dal cambiamento legislativo: «nel passaggio da una vecchia ad una nuova legislazione – egli scrive – sogliono facilmente sorgere alcune idee tutte nuove derivanti da un infelice innesto delle regole dell’una e dell’altra. Eterogenee queste tra loro e con violenza accozzate producono una terza cosa, che come un mostro non può essere ricevuto tra gli Esseri di alcuna specie»23. Un duro attacco è inoltre rivolto alle novità introdotte, percepite come estranee al modello vigente nel Regno.
Nel 1811 finalmente Anna Francesca ottiene una sentenza della Corte di Appello che obbliga il marito a «pagarle li duc. 50000 di sue doti, versati nella casa di Melissano; alla corrisponsione dello Spillatico, giusta il convenuto nelle sue tavole nuziali; ed all'assicurazione dell’antefato, nei casi preveduti ne’ capitoli matrimoniali»24. Nonostante questa prima parziale vittoria le cause si protrarranno ben oltre il tempo breve del decennio, attraversando la restaurazione e arrivando almeno al 1840 circa, a causa di continue opposizioni da parte di svariati creditori.
Un tale atteggiamento, che ad un primo sguardo potrebbe apparire come dettato dall’avidità, o come un tentativo di rivalsa contro un avaro marito, nasconde invece un modo spregiudicato di agire contro le novità legislative, nel tentativo estremo di volgere a favore dell’intera famiglia una situazione di per sé rovinosa.
Ma che la solidarietà tra moglie e marito non sia stata scalfita non significa che la realtà resti del tutto statica. Non si può negare che un cambiamento sia sopraggiunto con il mutamento di regime: viene portata in primo piano la figura femminile.
La storiografia ci riporta diversi esempi di donne che si ritrovano, nella svolta di inizio secolo, catapultate a capo della famiglia e, tra difficoltà e incertezze, riescono a svolgere al meglio il loro nuovo ruolo. Vicende simili a queste analizzate ritroviamo anche nella provincia materana, dove Marianna Caracciolo, creditrice per lo spillatico si vede assegnare in cambio di questo una rendita proveniente da censi e si ritrova così libera proprietaria di un bene, rafforzando molto il suo ruolo25.
Così la figura di Anna Francesca Spinelli non può non ricordarci quella dell’amica Eleonora Doria Pamphilj che, dopo la partenza del suocero al seguito della corte, si trova da sola a fronteggiare «contenziosi giuridici, pastoie burocratiche e saprà destreggiarsi in un groviglio di leggi, cavilli legali e problemi finanziari»26, mostrando di saper «superare l’agiata vita domestica e adattarsi rapidamente a realtà storiche, per le quali certamente non era preparata»27.
Le vicende qui narrate propongono un’immagine della donna che contrasta con quella che solitamente è emersa nelle analisi del codice civile francese, cioè una donna completamente soggetta all’autorità del marito, impossibilitata ad agire legalmente senza la sua autorizzazione28. Ciò ci dice quanto la realtà potesse differire dalle disposizioni legislative, e come l’opposizione ad esse potesse essere condotta non direttamente, ma sfruttando gli spazi lasciati dall’ordinamento per piegare la legislazione a proprio vantaggio.
Al pari della principessa, i due cadetti Francesco e Giustiniana sono anch’essi impegnati nella lunga serie di cause. In un tale atteggiamento potrebbe cogliersi la volontà di rivalsa degli elementi messi solitamente da parte dalla logica primogeniturale di antico regime. La lettura dei documenti preparati per la loro difesa restituisce un diverso disegno. La loro rivendicazione fa appello ai fedecommessi di famiglia: poiché la volontà del padre era stata rispettata da tutti i figli, essi avevano diritto a vedersi assegnati i loro livelli vitalizi, tanto più che questi erano stati sempre corrisposti dal principe loro fratello fino all’epoca della deduzione a patrimonio29. Tramite queste azioni vengono quindi rivendicati solo i diritti loro spettanti secondo la vecchia legislazione, che non viene considerata ingiusta, e non una parificazione con l’erede, non è stata scalfita la logica della famiglia di antico regime e neppure messa in crisi la sua unità.
La soluzione trovata per risolvere la disastrosa situazione è il fedecommesso del loro avo, Francesco marchese di Grottola, che nel suo testamento, tra i diversi cespiti di rendita riportava due vecchi crediti nei confronti del principe di Bisignano e del marchese di Sant’Agata30, su tali crediti «non possono rappresentare menoma ragione i creditori […] spettando ad essi un tal capitale atteso le particolari di loro ragioni di vita milizia, di titolo alimentario […] dipendente dalla natura e rinforzato da ogni legislazione ritualmente riconosciuti anche sui beni fedecommessi, su quali eziandio son fondate»31. In tal modo si è riequilibrata la situazione della famiglia, facendo salvi gli interessi di tutti i membri.
Che l’unità familiare non sia venuta meno lo confermano anche altri dati. Nella sua corrispondenza Francesco scrive che «l'Avvocato ed il Prpe trovano tutto naturale, che io vi abbia quello che è mio»32, rivelando l’equilibrio esistente nelle rivendicazioni di ciascuno.
Ciò appare evidente anche in alcune affermazioni contenute in un memoriale, in cui si spiega che «le rendite provenienti dagli ex feudi di Lecce son destinate a somministrare li annui ducati 1680 alla principessa Caracciolo, e la principessa Spinelli per sua moderazione non ha frastornato un tale assegnamento tuttoche li suoi dritti fossero più privilegiati. La Casa di Melissano esigge annui ducati 1000 dal Principe di Bisignano…, ed altri annui ducati 130 circa dalla Casa di Trevico… e tutte queste quantità si rinvengono assegnate ai Sig.ri Francesco, e Giustiniana Caracciolo, figli della Sig.ra Principessa Caracciolo, e la Sig.ra Principessa Spinelli neanche si ha presa la pena di averli per conto di quello, che avanza»33. Riguardo poi l’assegnazione di alcuni feudi sequestrati «ella si contentò con una interina convenzione di cederne una metà dell’esazzione maturata in quest’anno, senza però pregiudizio delle di lei raggioni; e dell’altra metà a sé riservata, niente finora ha potuto conseguire. Non regge adunque ciò, che ha asserito la principessa Caracciolo di essersi cioè, dalla Principessa Spinelli occupati tutti li Cespiti della Casa di Melissano; risulta anzi dai rapporti fatti la grande moderazione della Principessa Spinelli»34.
L’unico componente che sembra non aderire a questa strategia è proprio l’anziana principessa, madre di Nicola. Essa sceglie una diversa modalità d’azione rivolgendosi al ministro di Giustizia e al re per perorare la sua causa35. Nelle suppliche non solo essa lamenta le «indigenze, in cui la mal condotta di suo figlio l’ha fatta ridurre», ma traspare tutto il suo stupore nel vedere rivolti contro di sé i suoi familiari: «ma chi il crederebbe? – scrive infatti la principessa – I medesimi Individui della Casa di Melissano li han fatto nel Tribunale, e Corte di Appello di quella Provincia un’ostinata guerra diretta a defatigarla, e non farle vedere la desiderata soddisfazione di parte de suoi Crediti, […] e già corre il quinto anno della Lite sempre agitata da cavilli, e dilazione».
Un’accesa guerra doveva essersi scatenata, in particolare con la nuora poiché «nuove opposizioni si produssero dallo stesso suo figlio, e dalla di lui Moglie, la quale non contenta di aver prese per le sue Doti col favore del prezzo arbitrario nell’Esproprio, quasi l’intero Patrimonio di Melissano, ostinatamente è decisa a non far soddisfare in menima parte de suoi crediti, e con minaccie e maneggi procura ritardare la giudicatura, e conculcare la giustizia»36. Vengono anche denunciati i comportamenti corrotti di personalità, che forse appoggiavano la Spinelli, e che hanno condizionato l’andamento della causa. «Quantunque dopo la ragionata sentenza favorevole ottenuta nel Tribunale dell’Aquila dalla Caracciolo, sembrasse che dovesse anche vincerla in quel Tribunale, pure per lo scandaloso accanimento, ed indoverose prevenzioni di alcuni ministri vi è rimasta soccumbente»37.  Di tali comportamenti la principessa domanda giustizia, rivolgendo un accorato appello al rispetto della giustizia38.
È difficile dire quanto le affermazioni contenute in queste suppliche ci rivelino dell’effettivo rapporto che regnava tra la madre e i figli poiché non sono stati rinvenuti altri documenti che potessero chiarire meglio la questione. Se ci si basa solo su queste si può affermare che la solidarietà familiare fosse davvero venuta meno in questo caso. Eppure altri elementi ci inducono a pensare diversamente. Nelle lettere di Francesco i riferimenti alla madre non sono caratterizzati da accenti duri o rancorosi, ma anzi è il contrario. La figura della madre è a volte invocata nella richiesta di favori: «spero che avendo così ben favorito mia Madre ne suoi interessi costà, vorrà compiacersi accordare anche a me i suoi favori per i miei Beneficj»39. Mentre altre sue affermazioni lasciano intendere che lei si fosse spesso preoccupata di curarne gli interessi40. Sappiamo poi che la principessa si era impegnata a pagare alcuni debiti del figlio Francesco41.
Tutto ciò ci pare testimoniare la concordia del loro rapporto e di conseguenza l’unità che ancora caratterizzava le relazioni all’interno della famiglia.
Una tale serie di liti giudiziarie tra membri di una stessa famiglia, come quelle qui descritte, non rappresenta un evento sorprendente. Non erano infrequenti le cause che dilaniavano le famiglie, protraendosi per lungo tempo, ma se durante l’antico regime esse possono essere lette come il segno della crisi dell’unità e solidarietà della struttura familiare, come la risposta di quei soggetti «non più disposti a sacrificare la propria individualità alle superiori esigenze del gruppo»42, nel caso qui analizzato, come si è visto, esse hanno l’opposto significato.
Se all’apparenza questi comportamenti possono essere considerati come il definitivo esaurirsi di quel modello familiare, in realtà essi rappresentano un astuto modo di muoversi tra gli antichi usi e le novità legislative per arginare le difficoltà sopraggiunte. L’unità e la solidarietà non ne risultano scalfiti. Del resto usi così radicati nella mentalità di questo ceto non potevano essere tanto facilmente e velocemente scardinati.

[1] Archivio Caracciolo di Melissano (d’ora in poi ACM) b.43 n. 110, 1820 cause, Estratto della sentenza del tribunale civile di Lecce, 2 marzo 1820.
[2] M. A. Visceglia, Linee per uno studio unitario dei testamenti e dei contratti matrimoniali dell'aristocrazia feudale napoletana tra fine Quattrocento e Settecento, in «Mélanges de l'Ecole française de Rome. Moyen-Age, Temps modernes», 95, N°1, 1983, pp. 399, 400, 401, 407, 413, 425. G. Delille, Famiglia e proprietà nel Regno di Napoli. XV-XIX secolo, Torino, Einaudi, 1988, passim.
[3] A. Caracciolo di Torchiarolo, Una famiglia italianissima, cit., p. 258.
[4] A.C.M., b. 16/I n.1 Copia del testamento di Francesco Caracciolo Marchese di Grottole 2 aprile 1678.
[5] M. A. Visceglia, Linee per uno studio unitario dei testamenti, cit., p. 420.
[6] A.C.M., b. 16/I n.1 Copia del testamento di Francesco Caracciolo Marchese di Grottole 2 aprile 1678.
[7] M. A. Visceglia, Linee per uno studio unitario dei testamenti, cit., p. 427.
[8] M. Barbagli, Sotto lo stesso tetto. Mutamenti della famiglia in Italia dal XV al XX secolo, Bologna, Il Mulino, 1996, pp. 182, 185, 186.
[9] E. Papagna, Sogni e bisogni di una famiglia aristocratica. I Caracciolo di Martina in età moderna, Milano, Franco Angeli, 2002, p. 10.
[10] M. A. Visceglia, Linee per uno studio unitario dei testamenti, cit., p. 394.
[11] Ivi, p. 432.
[12] Archivio di Stato di Napoli (d’ora in poi ASN), Processi antichi, pandetta corrente, fascio 1758, fascicolo 11190.
[13] Ibidem.
[14] cfr R. Ago, Giochi di squadra: uomini e donne nelle famiglie nobili del XVII secolo, in M.A. Visceglia (a cura di), Signori, patrizi e cavalieri nell’età moderna, Roma-Bari, Laterza, 1992.
[15] E. Papagna, Sogni e bisogni, cit., pp. 115, 116.
[16] M. A. Visceglia, Linee per uno studio unitario dei testamenti, cit., pp. 432, 433, 434.
[17] Ivi, p. 434. Ma non era solo la limitata disponibilità di risorse ad essere condannata. Anche la pratica del celibato forzato, che aveva determinato l’estinzione di molte famiglie, venne presa di mira, soprattutto nel Settecento «nel periodo cioè in cui si fecero più sentire gli effetti della contrazione della nuzialità dei figli cadetti» M. Barbagli, Sotto lo stesso tetto, cit., p. 187.
[18] P. Ungari, Storia del diritto di famiglia in Italia (1796-1975), Bologna, Il Mulino, 2002, p.106.
[19] Ivi, p. 108.
[20] ACM, b.67 n. 28 1837, Per la Principessa di Melissano D. Anna Francesca Spinelli, Nella graduazione a danno della eredità giacente del Principe di Melissano D. Nicola Caracciolo, Nella seconda camera della G. C. Civile
[21] Ibidem.
[22] ACM, b.67 n 28 1837, Per la Principessa di Melissano D. Anna Francesca Spinelli, Nella graduazione a danno della eredità giacente del Principe di Melissano D. Nicola Caracciolo, Nella seconda camera della G. C. Civile.
[23] Ibidem.
[24] ACM, b.67 n 33, Graduazione di Melissano, A pro della principessa vedova di Melissano d. Anna Francesca Spinelli Parte resistente, Nella Corte Suprema di Giustizia, Napoli 12 gennaio 1842, Giovanni di Siena.
[25] R. M. Salvia, Una famiglia d’élite a Matera (1799-1829), in Nicola Lisanti, Tommaso Russo, Rosa Maria Salvia, Il Feudo, la coccarda e l’intendenza. La Basilicata dal 1789 al 1821, Milano, Franco Angeli, 2000, pp. 93, 94.
[26] Luise, I d'Avalos. Una grande famiglia aristocratica napoletana nel Settecento, Napoli, Liguori, 2006, p. 316.
[27] Ivi, p. 368.
[28] A. L. Sannino, Il Codice Napoleone e le donne, in A. Milano (a cura di), Misoginia. La donna vista e malvista nella cultura occidentale, Atti del Seminario di Potenza, Roma, Ed. Dehoniane, 1992, pp. 336, 337, 338.
[29]ACM, b.43 n.80 s.d. (1816), Memoria relativa alla causa tra Francesco e Giustiniana contro la principessa di Melissano per i beni spettanti dal fedecommesso. Altre notizie sulla causa sono negli incartamenti processuali Processi antichi, pandetta corrente, fascio 998, fascicolo 5650, vol 1.
[30] ACM, b. 43 n. 15, 26 settembre 1810 Napoli.
[31] ACM, b.43 n. 80 s.d. 1816.
[32] ACM, b.5/VI n. 25, Copialettere di Francesco Antonio, Lettera del 17 febbraio 1816.
[33] ACM, b. 45 n. 188 s.d. (1836).
[34] Ibidem
[35] ACM, b.4/IV n.18, Anna Francesca Caracciolo al Ministro della Giustizia; b. 4/IV n.19 Anna Francesca Caracciolo al Segretario di Stato; b. 4/IV n. 20, Suppliche al Re da parte di Anna Francesca Caracciolo. I documenti non sono datati ma si può supporre che risalgano ai primi anni della restaurazione.
[36] ACM, b. 4/IV n. 20, Suppliche al Re da parte di Anna Francesca Caracciolo s.d.
[37] ACM, b.4/IV n.18, Anna Francesca Caracciolo al Ministro della Giustizia
[38] ACM, b. 4/IV n. 20, Suppliche al Re da parte di Anna Francesca Caracciolo s.d.
[39] ACM, b.5/VI n. 25, Copialettere di Francesco Antonio, Lettera del 13 gennaio 1816, Al Sig.r Donato Caputo in Taviano.
[40] «Il fù suo Sigr Fratello, di felice memoria, si serviva di un certo Sig.r de Stefanis che pagava a mia Madre ogni anno qsta summa, in tempo della mia assenza da Napoli», Ivi, Lettera del 23 dicembre 1815, Al Sig.r D. Giacinto Cini. Castel di Sangro.
[41] «Questa somma la fù madre del Comparente di lui debitrice nella vita milizia maturata fino all’epoca del fatto istromento, e da maturare in appresso si obbligò soddisfarla coll’enunciato sig. Schiavelli», ACM, b.45 n.192.

[42] Papagna, Sogni e bisogni di una famiglia aristocratica. I Caracciolo di Martina in età moderna, Milano, Franco Angeli, 2002, pp.145, 146.

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